Due canzoni mi risuonano in testa se penso a Gio Pastori in questa calda estate 2017. Una è un grande classico, Sbucciami di Cristiano Malgioglio (“Ti salverò almeno un po’ ci proverò / Ti schiaccerò alle tue notti mi darò / Completerò ci riuscirò ma che ne so”): dell’artista dal ciuffo argenteo il giovane illustratore ha composto un ritratto che più azzeccato non si può. L’altra è invece una recente hit virale, Xananas della regina degli after milanesi M¥SS KETA (“Non capisco se la noia è il mio boia o una mia paranoia / Prima che muoia comunque da sola / House of Savoia Xanax avoja”), del cui ultimo album, Carpaccio Ghiacciato, Pastori ha realizzato la torrida copertina.
Due riferimenti ultrapop, quasi trash (o camp?), ma che in realtà vogliono omaggiare in pieno lo stile di uno dei talenti più fulminanti dell’illustrazione italiana. Classe 1989, un percorso che l’ha portato dal liceo artistico al Politecnico (design) e poi all’Istituto Bauer di Milano (illustrazione editoriale).
Proprio qui scatta l’amor fou per la carta: colleziona quasi ossessivamente, per sua stessa ammissione in un’intervista, “pacchetti, volantini, biglietti, vecchie foto, involucri, ogni tipo di packaging, tovaglioli, sottotorta, tappezzerie”. E poi li taglia, anzi li viviseziona con un bisturi.
Perché Gio Pastori è un chirurgo ancor prima di essere un illustratore: manipolatore di forme e figure umane, si è specializzato nei ritratti dal vivo, in cui in pochi minuti traduce i caratteri peculiari di ogni persona tramite la tecnica del papercut. Affetta, separa, ricuce, assembla, incolla. I risultati sono colorati, geometrici, flashy. Sono appunto i dettagli quelli che più si aggrappano alla sua fantasia: un rossetto appariscente, un cappello vintage, un paio di occhiali. Quegli stessi dettagli che esplodono in collage vivaci, scatenati, in cui traspare una gioia di vivere che però non è leggerezza, è piuttosto passione sovraesposta, trasfigurazione conturbante, sentore di visceralità.
Non è un caso se i maestri che cita più spesso siano Matisse e Tom Wesselmann. Una specie di neofauvismo 2.0 percorre le opere di Gio Pastori, che è di difficile inquadramento in un’estetica tipicamente italiana: non stupiscono le sue numerose collaborazioni con testate internazionali e con i più svariati brand, tanto che Forbes l’ha inserito tra i trenta giovani under 30 da tener d’occhio in Europa.
Che si tratti di copertine, ritratti, illustrazioni o progetti più ampi come quello che si svolge questo weekend al Fidenza Village, la creatività di Gio Pastori ha una concretezza quasi segreta, celata da una timidezza che è propria dell’artista stesso: pur staccandosi dal mimetismo i suoi corpi hanno volumi accattivanti, sensuali; i suoi sfondi esplodono di forme, geometrie, dimensioni suggerite; i suoi tagli sono netti, scattanti, ma non privi di una certa energetica grazia.
Estetica tumblr e purezza retrò
Se da una parte i suoi lavori sembrano espressione virale di una certa estetica tumblr (tanto che i suoi paper cut diventano sempre gif formidabili e in tantissimi lo contattano tramite il suo Instagram), dall’altra nel suo approccio c’è quasi una purezza retro: in un mondo che guarda al digitale in tutto e per tutto, sono pochi quelli che riprendono in mano carta e forbice, quasi viaggiando indietro alle avanguardie primonovecentesche, solo in modo più smaliziato. E tutto ciò senza affettazione, senza snobismo passatista, anzi con una chiara concezione di ciò che è pop e contemporaneo.
Proprio per queste ragioni, sempre in questa calda estate 2017, Gio Pastori fa venire in mente un buon Negroni (suo cocktail preferito) bevuto al Bar Basso a Milano: tutto molto vecchio stile ma tutto estremamente moderno, tutto molto design ma senza l’ansia della settimana-del-, tutto composto e pensato ma anche dannatamente cool.
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