Di Cerere e Proserpina. Cristian Grossi, artista e designer

La germinazione. Il linearismo. La vita. I colori brillanti. C’è tutto questo nelle immagini di Cristian Grossi. Partiamo dalla composizione “Di Cerere e Proserpina”: due figure femminili, affusolate negli arti e vestite con lunghi abiti, si guardano di profilo sorreggendo entrambe, con una mano, una spiga di grano; le braccia opposte si sollevano, ad incorniciare, sacralizzando, il centro della composizione.

Gli abiti alla base si mescolano, quasi a diventare un unico panneggio, e rimangono riconoscibili solo per i diversi colori; sopra ad ognuno di essi “germinano” cascate di fiori geometrizzanti: quasi una “Primavera sacra” secessionista, del passato, rivista in un mondo futuro, dai colori brillanti. Lo sfondo scuro è animato da volute, riccioli che salgono verso l’alto e danno vita alla scena, quasi la prolungano all’infinito.

Astrazione della natura nei dettagli (riccioli, fiori, tratti femminili) inseriti in una costruzione perfettamente calibrata, basata su studi matematici: Cristian infatti usa sempre la matematica (e il computer) per creare, attraverso la successione progressiva di Fibonacci, una composizione classica, in cui in questo caso ogni dettaglio, o l’insieme dei dettagli, è inscrivibile in due grandi spirali che si affrontano come le figure femminili, e in queste spirali si inscrivono triangoli nei quali si affrontano i profili femminili, e in questi triangoli, suddivisi in triangoli più piccoli, si inscrivono a loro volta altre spirali che indicano il centro della composizione…

Di Cerere e Proserpina, Ver Sacrum digitale. Grani d’Autore Barilla – Cristian Grossi © Courtesy of Barilla, 2021

Una composizione classica che dà l’illusione di una realtà perfetta, creata non dalla natura, non dall’uomo, ma da un demiurgo-designer.

Nelle illustrazioni di Cristian, nella sua grafica sempre riconoscibile anche a un primo, veloce sguardo, c’è spesso la donna. Dopo tutto lo dice anche lui: “La donna per me è il mezzo espressivo… Il suo esistere è già un simbolo del suo fortissimo potere semantico”. Una “donna libellula”, sempre sofisticata ed elegante, che domina su sfondi coloratissimi e asettici, ma allo stesso tempo rigogliosi di vita.

Una vita che sembra brulicare attraverso i movimenti ondulati degli abiti femminili, o attraverso i riccioli che sono sfondo e parte integrante della composizione, o ancora nel germinare di quelle “spore” ma che possono essere anche già fiori o in questo caso…pasta. Già, perché la pasta in questo caso è protagonista delle illustrazioni quasi quanto la donna, la abbellisce (diventa bracciale, orecchino, monile), diventa centro della composizione e risplende quasi fosse d’oro: la spiga è fulcro della composizione e oggetto prezioso, collegamento tra il passato, ricco di rimandi, e un futuro che è nell’arte digitale.

Cristian ha raccolto tante visioni, esperienze, stimoli differenti e li rielaborati per “fare comunicazione” e arte insieme: da designer li ha “riassemblati” per rendere naturale, a tratti se possibile vero, un mondo matematico, perfettamente calibrato, quello che lui crea in digitale. É poi l’osservatore a dover rintracciare i rimandi, il significato dell’opera: dopotutto è anche suo compito, mentre l’artista deve crearla.

Erberto Carboni. La Violetta di Parma Opso (1923). figure danzanti in maschera
Erberto Carboni. Ciprie Opso Parma. (1923) figure in costume con scimmia e oggetti da toilette
Il legame tra comunicazione e arte è stato indagato anche da un altro artista-illustratore a Parma, con risultati sorprendenti: Erberto Carboni. Interessante è notare che anche Carboni sperimenta un nuovo modo di comunicare con lo stesso soggetto – la donna – e per lo stesso produttore – la Barilla, azienda market-leader della pasta in Italia. Carboni (Parma 1899-Milano 1984) frequenta il Reale Istituto di Belle Arti; nel 1921 apre il suo primo studio in città e si occupa della cartellonistica per ditte locali (Arte grafica Zanlari, Arte grafica Ganzini, Borsari, Opso).

Erberto Carboni. Brillantine Opso Parma (1923). Volto con capelli alzati all’insù e motivi decorativi liberty

L’insegnamento all’Istituto di Giuseppe Mancini porta Carboni a conoscere l’arte viennese: Klimt e la cultura jugend si rintracciano nelle figure femminili e nei dettagli floreali decorativi (a volte orientaleggianti) che popolano i manifesti degli anni Venti, in particolare quelli per le profumerie Opso (Officina parmense sostanze odorose).

É lo “Stile ’25”, quello in cui “l’inventivo, volante, capriccioso liberty […] cede il passo alle stilizzazioni del déco, provocatoriamente moderno”, e che nell’illustrazione fissa i rapporti tra la grafica pubblicitaria e l’illustrazione minuta, di cui Carboni è un portavoce importante. Illustrazione fatta di “stilizzazioni”in particolare negli sfondi, negli elementi decorativi, e di una “tavolozza ricca”, uno “splendore dei colori, netti, irradianti una fosforescenza elettrica, capaci di accordarsi fuori di ogni convenzione”, che riesce a permettere la memorizzazione di uno stile artistico e insieme del prodotto che vi viene legato, perché da questo stile artistico esso è presentato a raccontato a noi fruitori.

Gio Ponti diceva che l’arte grafica “non fa della propaganda […], [ma] stilizza una attività produttiva”. La stilizzazione, i colori brillanti, ma anche “l’inserzione di elementi ‘presi dal vero’” (le farfalle dei bracciali) sono reminescenze dello stile di Carboni che emergono chiaramente nelle illustrazioni di Cristian.

Insekta Pluma, Cristian Grossi, 2011 © Courtesy of the artist
Mantodea, Cristian Grossi, 2011 © Courtesy of the artist
Blattodea, Cristian Grossi, 2011 © Courtesy of the artist

Come pure “il personaggio-idea”, cui risale il modello delle figure create da Leonetto Cappiello nei manifesti fin dal 1903, già recuperato da Carboni, diventa ancora più etereo, sinuoso e sofisticato in Cristian. Poco più che ventenne Carboni, inziò anch’egli una collaborazione con la Barilla e creò un calendario (per l’anno 1922); “il nome della ditta, con il marchio tondo e i richiami simbolici ai prodotti, espressi dalle flessuose e calligrafiche spighe di grano, diventano elementi essenziali della composizione che ingloba il testo ed evidenza una cristallizzazione geometrica di triangoli e semicerchi […] il ricciolo liberty è ormai irrigidito nella morfologia tesa e secca del gusto Déco”. Stilizzazione e cristallizzazione, ma potenza semantica che aumenta costantemente nella ricerca di Carboni, che di nuovo collabora con la Barilla nel 1952 e realizza una campagna pubblicitaria innovativa, perché egli “trasforma la cultura del destinatario […] come in passato ma sempre di più adesso, decide una rivoluzione. Prima di tutto la grafia, che deve essere nuova, rivoluzionaria. Tutte le altre paste si raccontano con le fotografie o i disegni realistici e con colori scialbi, tradizionalmente “veristici”: Carboni decide per la composizione del fotomontaggio Bauhaus che punta sui particolari, […] quindi dettagli di maccheroni e spaghetti, di forchette e cucchiai, dettagli simbolici come i vapori che simboleggiano il profumo della pasta (che, si sa, senza condimento non ha profumo)”. Per questo Carboni è ancora una figura di riferimento nella grafica, in un mondo dove la comunicazione è un fatto essenziale: “perché ha capito che la pubblicità è una lingua aulica, o che può essere aulica”, e lo insegna ancora oggi.

Gustav Klimt, La Speranza, 1903, olio su tela, Ottawa, National Gallery of Canada
Video 2: Cristian Grossi, The New Liberty, Spora 2, Bianca prende il vento, 2007. Fotogramma

Si è accennato alla “donna-libellula” di Cristian Grossi; le donne di Cristian non sono solo donne: sono prima di tutto silhouette, e “la silhouette, non fosse altro che per la sua etimologia, è un oggetto strano, insieme anatomico e semantico: è il corpo diventato semplicemente segno, molto denso in un senso, completamente vuoto in un altro. Questo corpo-disegno è essenzialmente (per sua funzione) un segno sociale […]: ogni sessualità (e i suoi sostituti simbolici) ne è assente; ogni silhouette, anche sostitutivamente, non è mai nuda; non la si può spogliare, non per eccesso di segreto, ma perché, contrariamente al vero disegno, non è che linea (segno)”. Questa funzione della silhouette (femminile, naturalmente) è lascito di un altro grande artista, Romain de Tirtoff, meglio noto come Erté (San Pietroburgo 1892-Parigi 1990). Il grande illustratore russo si trasferì a Parigi nel 1912 per collaborare con “le magnifique” Paul Poiret: iniziò qui il suo interesse per  la moda, i costumi teatrali e per i balli in maschera, allora molto in voga.

Erte – The Pursuit of Flore

Nel 1914 la maison Poiret venne chiusa a causa dello scoppio della Guerra ed Erté tentò fortuna mandando una delle sue illustrazioni alla rivista americana Harper’s Bazar: il disegno divenne una copertina per la rivista ed iniziò una collaborazione lunga più di vent’anni. Erté diventò punto di riferimento fino agli anni Quaranta non solo per la fashion illustration (lavorò anche per Vogue, Cosmopolitan e Ladies’ Home Journal), ma anche per il mondo del teatro: i suoi costumi e le sue scenografie vennero richieste in tutto il mondo.

Erte – at the theatre, trapeze

Il suo stile è stato definito dagli storici dell’arte come “transizione all’Art Déco, perché esso riempie lo spazio visivo tra le scuole fin-de-siècle del Simbolismo, con la sua qualità eterea, l’Art Nouveau con i suoi ornamenti, e l’Art Déco della metà degli anni Venti, con le sue fonti d’ispirazione e l’esecuzione concisa”. Ma Erté è stato molto di più di un grande illustratore: è stato anche l’inventore della donna moderna e di un modo di rappresentarla. Le donne che popolano le immagini di Erté sono le donne dell’Età del Jazz (come la definiva Francis Scott Fitzgerald), con lunghi abiti fruscianti e svolazzanti, ciglia lunghissime e corpi affusolati; se più di chiunque altro seppe interpretare lo sviluppo del costume femminile negli anni Ruggenti, allo stesso tempo Erté seppe creare attraverso l’uso della silhouette un’idea di femminilità sensuale e atemporale, ma sempre attuale.

Spora 01. Cristian Grossi, video art project. 2008 Multimedia Artbox Exhibition – The new liberty.

“Le silhouettes di Erté (mai indicate o accennate, anzi ammirevolmente rifinite) son al limite di genere: sono adorabili (si può ancora desiderarle) e tuttavia completamente intellegibili (sono segni ammirevolmente esatti). Diciamo che rimandano a un rapporto nuovo tra corpo e abito. […] In Erté non è il corpo femminile a essere vestito […], ma l’abito a essere prolungato nel corpo […] Questa la funzione della silhouette in Erté: porre e proporre un oggetto (un concetto, una forma) che sia unitaria, un misto indissolubile di corpo e abito, in modo che non si possa né spogliare il corpo né astrarre l’abito: Donna interamente socializzata ne suo abbigliamento, abbigliamento ostinatamente corporificato dal contorno della Donna”.

“La Donna di Erté non è nemmeno un simbolo […]: è soltanto una cifra, un segno che rimanda a una femminilità convenzionale: puro oggetto di comunicazione, informazione chiara, passaggio verso l’intellegibile, non espressione del sensibile; queste innumerevoli donne non sono i ritratti di un’idea, gli schizzi di un fantasma, ma, al contrario, il ritorno di un morfema identico, che va a prendere posto nella lingua di un’epoca e, costituendone la nostra memoria linguistica, ci permette di parlare di quell’epoca (il che è un gran vantaggio) potremmo parlare senza memoria dei segni?”. La donna come puro veicolo di comunicazione di un’epoca.

In Erté inoltre le volute floreali dell’Art Nouveau si fondevano con mirabile equilibrio con linee geometriche essenziali, definendo figure e scenari in un’esecuzione concisa e perfetta (dovuta anche all’utilizzo raffinato della tecnica serigrafica e del gouache) che sfociava nello stile Déco; e di nuovo tornava l’utilizzo di una linea a ricciolo ma secca, la predilezione per le linee spezzate e angolose e per uno “stile floreale” che però tende ad una simmetria stilizzata. Molti stilemi venivano anche per l’artista russo dall’arte della Secessione, ma ne perdevano il significato sociale e venivano utilizzati per la creazione di un’arte di lusso, che sapeva comunque comunicare. La stilizzazione come processo di semplificazione, come modo per rendere l’umano trascendente ed astratto. “La mia opera non conosce realismo, è un’espressione dei sogni”, diceva Erté: e la donna che popola gli sfondi astratti, asettici e silenziosi di Cristian Grossi ha la stessa funzione, trasportaci in un silenzioso mondo di sogni e riferimenti artistici ancora vitali.

La stilizzazione del ricciolo Liberty è uno dei principali emblemi del passaggio all’Art Decò. Non è solo sfondo, molto spesso è vita. Il modello in questo caso viene da molto vicino, e da un artista italiano: Galileo Chini (Firenze 1873-Firenze 1956). Che il ricciolo che compare sullo sfondo delle immagini di Cristian richiami i “riccioli-onde” dei dipinti dell’artista fiorentino alle Terme Berzieri di Salsomaggiore è istintivo, lampante. D’altronde Cristian vive a Salsomaggiore, ed è cresciuto osservando quell’opera d’arte totale che è il palazzo termale Berzieri.

Galileo Chini, l’Autunno. Palazzo delle Terme Berzieri di Salsomaggiore, Parma
Galileo Chini, Studio preparatorio per la decorazione delle Terme Berzieri a Salsomaggiore, 1922. Collezione privata

Sono quei riccioli, portati all’estremo della stilizzazione, il fil rouge che collega gli artisti in questione, e che anche in Chini di nuovo, seppur cristallizzato, è simbolo di vita e germinazione: il ricciolo nelle tempere di Chini è l’acqua che sorge spontanea dal suolo e che genera vita e purifica, che porta alla fioritura degli alberi e che fa da sfondo a bellissime donne-sirene fluttuanti in uno sfondo asettico ma ricchissimo, persino dorato. Se ci soffermiamo oltre alla bellezza di queste immagini, ci rendiamo conto subito che di nuovo è una comunicazione, è una “pubblicità” colta, insieme ad un’opera d’arte raffinata e ricca di citazioni: qui, alle terme, in questi dipinti, si vogliono raccontare le acque salsobromoiodiche termali e le loro potenti virtù terapeutiche.

Galileo Chini dopo tutto era anche illustratore e cartellonista, oltre che ceramista e pittore.

Galileo Chini era nato a Firenze nel 1896 e aveva frequentato la Scuola di Nudo all’Accademia di Belle Arti. A fine Ottocento creò l’Arte della Ceramica a Firenze; dal 1903 fu allestitore alla Biennale di Venezia. Espose a Monaco di Baviera nel 1904 e nel 1905, dove conobbe i protagonisti della Secessione. Nel 1906 aprì con il cugino Chino Chini le Fornaci di Borgo San Lorenzo al Mugello. Fu chiamato dal sovrano del Siam Rama VI a decorare, con altri artisti italiani, il Palazzo del Trono di Bangkok.

Ritornò definitivamente in patria nel 1913: il retaggio dei difficilmente superabili modelli del Rinascimento, il liberty che si tramuta in Déco, l’influenza della Secessione Viennese e dei filosofemi di “Ver Sacrum”, si sommano quindi alle visioni di un oriente  reale e mistico insieme. Tutte queste esperienze sono evidenti nel ciclo di pannelli dedicati alla Primavera (1914) in cui “l’omaggio alla secessione si concentra nel pulviscolo di motivi geometrici, cascate di archi, triangoli, fiori stilizzati, una tessitura di elementi decorativi astratti rielaborati con una carica timbrica risplendente per l’inserimento di lamine metalliche d’oro e di alluminio”.

E a guardare bene Cristian riprende quei fiori stilizzati e li inserisce nel suo mondo ovattato, li fa diventare polline, spore, che spuntano accanto alle figure femminili, diventano vita che cresce con il vento, il sole e l’acqua, come quella spiga sorretta al centro, quasi un idolo da adorare, perché simbolo di vita anch’essa.


    1. “Ver Sacrum” era la rivista fondata nel 1898 da Max Kurzweil e Gustav Klimt. Fu l’organo ufficiale di diffusione dell’arte della Secessione Viennese e aveva lo scopo di diffondere i canoni della grafica editoriale, fare conoscere al pubblico il gusto moderno e soprattutto promuovere l’idea di “opera d’arte totale” (Gesamtkunstwerk), fusione di parole, musica immagini.
    2. Www.crixtian.it/the-madras-adventure-digital-art-project: il progetto si basa sullo stesso concetto, sulla ricerca di Cristian di creare una “natura guidata dall’algoritmo”.
    3. La successione di Fibonacci (o aurea) è una successione di numeri nella quale ogni numero è la somma dei due numeri/termini precedenti (1,1,2,3,5,8,13,…); la sequenza può essere rappresentata come un grande rettangolo (con i lati in rapporto aureo – 1:1,618 – tra di loro) formato da un quadrato e un altro rettangolo più piccolo. Tracciando nei quadrati delle curve che toccano sempre angoli opposti dei quadrati stessi, ne risulta una spirale. La sequenza si può riprodurre all’infinito.
    4. PERLETTI, Mutevoli labirinti di forme, natura e metamorfosi, Bergamo ,CAV – Centro Arti Visive Università degli studi di Bergamo, 2011, pp. 5-6.
    5. A Parma anche Amedeo Bocchi, dopo essere stato ammesso alla Biennale di Venezia e aver visto le opere di Gustav Klimt nel 1910, aveva recuperato la sintassi stilistica della Secessione Viennese nella decorazione della Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma (1915-1916).
    6. BERTOLUCCI, Mostra antologica di Erberto Carboni a Parma, Parma Artegrafica Silva, 1982, p. 8. Lo “Stile 1925” prese il nome dall’anno della nota Esposizione Universale di Parigi dedicata alle Arts Décoratifs, esposizione che delineò morfologie e modelli appunto dell’Art Déco.
    7. VILLANI, Erberto Carboni illustratore, in Erberto Carboni, Milano 1985, p. 17.
    8. VILLANI, Erberto Carboni illustratore, in Erberto Carboni, Milano 1985, p. 17.
    9. PIOVENE, Mostra antologica di Erberto Carboni a Parma, cit., (1972), p. 11.
    10. VALSECCHI, Mostra antologica di Erberto Carboni a Parma, cit., (1972), pp. 11-12: “…quei personaggi che ritenevi sforbiciati con accorte stilizzazioni, diventano figure geometriche, elaborazioni preziose di ritmi lineari e curvi, esaltanti di colori. All’improvviso si ritraggono nelle loro corazze smaltate, diventano ermetici. Ma poi tornano a colpire la nostra percezione con una serie di riferimenti che ci portano ai simboli umani dei grafiti nelle caverne preistoriche […] ci si deve persuadere che è maturato un pittore nuovo […], le cui forme nitide e fisse, dai colori smaglianti e giocati su contrasti incredibilmente armonici malgrado le rapide scalate dei timbri cromatici, hanno la vivacissima capacità di suscitare una catena infinita di ripercussioni emotive, e quindi di elettrizzare lo spazio quotidiano che abbiamo intorno, di passo in passo sempre più grigio e avvelenato di consuetudini, di opacità, di inquinamenti morali, e di ridarci l’allegrezza di un impeto vitale con la forza schioccante di una fantasia intelligente e creativa”.
    11. PONTI, introduzione in E. CARBONI, Pubblicità per la radiotelevisione, Milano, 1959, p. 11
    12. DORFLES, Carboni e la pubblicità, in Erberto Carboni, Milano 1985, p. 57.
    13. Archivio Storico Barilla, Parma, Rla, 15.
    14. BONATTI BACCHINI, A piccoli passi un lungo cammino: la Barilla dal 1920 al 1940, in Barilla cento anni di pubblicità e comunicazione, Parma, Archivio storico Barilla, 1994, p. 106.
    15. BIANCHINO, Dal Futurismo al Bauhaus, cit., pp. 35-36.
    16. BIANCHINO, Dal Futurismo al Bauhaus, cit., p. 37.
    17. BARTHES, Erté, Milano, Franco Maria Ricci, 1972, pp. 99-100.
    18. Poiret è considerato l’iniziatore della fashion illustration come espressione artistica; nel 1908 commissionò a Paul Iribe una pubblicazione promozionale, “Les robes de Paul Poiret”: tinte brillanti e piatte, figure allungate ed eleganti di profilo o di schiena e su sfondi monocromatici.
    19. PERMAN, Il leggendario Erté, cit. p. 8.
    20. Erté stesso precisava le fonti d’ispirazione: “Le miniature persiane e indù furono la base della mia arte. Furono l’influenza numero uno. L’influenza numero due, soprattutto per quanto riguarda la tecnica grafica, fu quella delle pitture dei vasi greci, di cui scoprii la bellezza fin dalla prima visita al Museo dell’Ermitage a Pietroburgo” (ERTÉ, Dai ricordi di Erté, in Erté, Milano, Franco Maria Ricci, 1972, p. 152. ).
    21. BARTHES, Erté, Milano, Franco Maria Ricci, 1972, p. 100.
    22. R. BARTHES, Erté, Milano, Franco Maria Ricci, 1972, pp. 92-93.
    23. Nei lavori alle Terme Berzieri, inaugurate nel 1923, Chini diresse tutto l’apparato pittorico e decorativo e firmò nel settembre del 1922 i dipinti delle due grandi pareti dello scalone centrale che porta al piano superiore. Sono un omaggio al tema della “primavera sacra” e alle virtù terapeutiche delle acque termale, e in essi affiorano echi dei soggetti klimtiani.
    24. Curioso è rintracciare, anche tra le opere di Galileo Chini a Salsomaggiore, di nuovo un omaggio alla pasta Barilla: un’immagine pubblicitaria con due rigogliosi putti che sorreggono un grande piatto di pasta, attorniati da vaporose nuvole rosa dalle quali sorge la scritta W BARILLA, dipinta nella taverna di Villa Fonio nel 1927.
    25. BONATTI BACCHINI; F. BACCI DI CAPACI (a cura di), Orizzonti d’acqua tra pittura e arti decorative. Galileo Chini e altri protagonisti del primo Novecento, Firenze, Bandecchi & Vivaldi, 2018,
    26. B. BACCHINI, Galileo Chini pittore e alfiere delle arti decorative dal Simbolismo al Liberty al Déco, in cit., 2018, p. 31.
  1. Il ciclo è costituito da 18 pannelli realizzati per la decorazione per la sala che ospitava le opere dello scultore croato Ivan Mestrovic (1883-1962) alla XI° edizione della Biennale di Venezia. Le diciotto opere, di quattro metri di altezza, trattano della rinascita della vita attraverso la progressione di quattro momenti figurativi: La primavera classica, L’incantesimo dell’amore e La Primavera della vita, La Primavera delle selve e La Primavera che perennemente si rinnova.
  2. B. BACCHINI, Galileo Chini pittore e alfiere delle arti decorative dal Simbolismo al Liberty al Déco, in in cit., 2018, p. 39.
  3. G. PERLETTI, Mutevoli labirinti di forme, natura e metamorfosi, Bergamo ,CAV – Centro Arti Visive Università degli studi di Bergamo, 2011, p. 16.

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